Fisica del movimento e teoria dell'infinito
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Con questo lavoro sui problemi del movimento e dell'infinito nel terzo libro della Fisica aristotelica, Giovanna R. Giardina fa seguito ai precedenti commenti dedicati al libro I (questione dei principi) nel 2002, e al libro II (questione delle cause) nel 2006. Ho parlato di commenti perché lo stile esegetico dell'autrice consiste in un confronto molto ravvicinato con il testo, che include la discussione di problemi testuali, semantici e naturalmente concettuali, e si vale puntualmente di un assiduo confronto da un lato con la tradizione dei commentatori, da Alessandro a Simplicio e Filopono fino a Tommaso, dall'altro lato con la letteratura critica (il volume offre anche il prezioso contributo di uno status quaestionis critico e una storia degli studi moderni relativi al problema del movimento). La forma del commento è del resto resa necessaria dal tormentato movimento di questi testi aristotelici, che sono eminentemente dialettici: uno sguardo più distanziato non potrebbe che portare a una semplificazione eccessiva o a un fraintendimento dei problemi sui quali si affatica l'analisi aristotelica. Il risultato più rilevante della ricerca di Giardina mi sembra consistere nella distinzione sottile ma illuminante fra i concetti aristotelici di energeia e di entelecheia. Questa distinzione permette di chiarire due aspetti tanto centrali quanto paradossali della teoria aristotelica. Il primo è la definizione del movimento come 'entelechia di ciò che è in potenza'; il secondo è la definizione dell'infinito come potenzialità priva dell'orizzonte della energeia, che risulta pensabile nella tensione fra la potenza e l'entelechia di ciò che è in potenza in quanto tale. Giardina costruisce importanti analisi della questione del movimento, della causa motrice e del suo rapporto con l'ente in cui accade il movimento (che è al tempo stesso energeia del motore e entelecheia del mosso). Altrettanto puntuale l'indagine sulla critica aristotelica alle teorie sull'infinito proposte dai predecessori: ne risulta che per Aristotele quello di apeiron è un concetto tanto inevitabile per la comprensione del tempo, delle quantità continue, dello stesso movimento (sullo sfondo stanno i paradossi di Zenone), quanto aporetico se l'infinito viene concepito come sostanza o corpo. Queste osservazioni non rendono minimamente conto della ricchezza di contenuti del lavoro di Giardina, che resterà come un contributo indispensabile alla comprensione 'fine' di alcune fra le più complesse pagine della Fisica aristotelica. (Mario Vegetti)